La lotta per la libertà del comandante de’ Nigris
TERAMO – Come si inizia un’intervista sul 25 aprile e sul valore della Resistenza ad un protagonista di quei tempi? Lasciando scorrere, limpidi come acqua pura, i ricordi di storie, eventi, personaggi, emozioni datati ormai quasi settant’anni or sono.
Mario de’ Nigris non accusa le ingiurie del tempo. Non almeno nella sorprendente lucidità, nell’autentica passione civile ancora esondante dalle sue parole, nel sorriso che d’improvviso esplode sul suo volto ad un ricordo felice o ad un pensiero sagace. Nato a Pescara nel 1923, dopo gli studi liceali a Milano (al seguito del padre funzionario della Società Elettrica Italiana), si appassiona all’arte frequentando l’Accademia a Roma e iscrivendosi alla facoltà di Architettura. E sarà proprio l’espressione figurativa a consacrarlo nel dopoguerra come uno dei massimi pittori teramani, in una carriera parallela al suo lavoro di funzionario della Banca Popolare riconosciuta come di assoluto valore dai massimi critici italiani.
Ma il nome di Mario de’ Nigris si lega inscindibilmente alla sua storia di partigiano. La fine ingloriosa del regime fascista, esplosa nella Seconda guerra mondiale, lo vede protagonista dell’afflato di libertà e riscatto di un popolo intero, concretizzatosi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 nella Resistenza e nella lotta partigiana. Gli eventi storici lo colsero al confine nordorientale italiano, tra Sagrado e Monfalcone, sergente della Brigata Sassari. Fatti riportati fedelmente, con l’intento di contribuire alla verità storica, nelle sue testimonianze appena date alle stampe grazie alla Cgil di Teramo, segmento della più ampia autobiografia in cantiere. Dopo aver già dato prova di determinazione e spirito d’indipendenza guidando l’ammutinamento di oltre 150 uomini del suo reggimento, prese la via del ritorno verso l’Abruzzo, sistemandosi a Morro d’Oro, suo paese d’origine. Era l’ottobre del 1943.
“In tutta la mia vita partigiana mi è sempre sembrato che l’imbattibilità dei tedeschi fosse una favola – sostiene oggi volgendo lo sguardo indietro con il coraggio che lo ha sempre contraddistinto – Nelle numerose peripezie che ho affrontato ho sempre avuto la meglio contro di loro, non ho mai avuto paura”. Tanto più vero quando, dopo aver organizzato due squadre di partigiani a Morro d’Oro e a Roseto, prese il comando di quella ventina di uomini, giovani del posto, che resistettero nel borgo collinare agli ultimi fuochi di paglia dell’esercito hitleriano in ritirata. “Assaltammo il Comune asportando le armi rimaste dei fascisti – ripercorre con dovizia di particolari le azioni più clamorose – facemmo razzia dei Consorzi agrari per dare da mangiare agli sfollati e ai poveri, organizzammo le barche da pesca con cui, dal litorale, facemmo fuggire verso Bari ricercati e perseguitati dalle truppe straniere. Ne mettemmo in salvo molti, tra cui l’intellettuale comunista Libero Pierantozzi”. In una di quelle azioni perse la vita il cugino, Biagio de’ Nigris, annegato nel mare gelido mentre cercava di mettersi in salvo a nuoto dalle raffiche di mitra degli invasori.
Rischiò la vita, Mario de’ Nigris, ma affrontò gli avvenimenti con l’unica preoccupazione di tutelare l’incolumità dei residenti dalle sempre possibili rappresaglie nazifasciste. “Accadde che, per l’irresponsabilità di un membro della banda che non ci era mai piaciuto, i tedeschi scoprirono che ci nascondevamo a Morro d’Oro – racconta il comandante partigiano – Spararono tre colpi di mortaio, senza conseguenze, e arrivarono con le auto blindate nella piazza del paese, intimando alla popolazione di consegnarmi. Ma nessuno parlò ed anzi, rientrando velocemente nelle case, iniziarono a preparare la fuga. Non lo permisi, perché i tedeschi volevano solo me e io non volevo esporre a pericoli gente inerme. Fu così che mi presentai”. Fatto prigioniero, de’ Nigris fu condotto nell’accampamento e condannato a morte per fucilazione al mattino seguente. Ma erano gli attimi concitati della ritirata e, per non rallentare le operazioni, i tedeschi preferirono lasciarlo andare (anche per paura della reazione dei compagni partigiani) proseguendo nella fuga verso Teramo e poi più a nord. Fu come la fine di un incubo per Morro d’Oro: Mario de’ Nigris rientrò in paese tra sincere manifestazioni di gioia, sequestrò i fondi dell’ex partito fascista alle poste locali e organizzò il viaggio di rientro verso le proprie città dei numerosi sfollati.
L’esperienza partigiana nel Teramano (con le gesta eroiche di Bosco Martese entrate nella leggenda) era finita ma non l’occupazione tedesca del Paese. “Si combatteva ancora la guerra di liberazione – ricorda – ed io decisi di partire volontario per terminare l’opera. Fui assegnato alla Divisione Mantova di stanza ad Ortona e vissi ancora gli eventi successivi al fianco dell’esercito alleato”. Finita la guerra rientrò a Teramo ed iniziò la nuova vita del partigiano Mario de’ Nigris. Vinto il concorso alla Banca Popolare, ne fu dirigente per quarant’anni. Si dedicò alla pittura, con enorme successo, e animò la vita sociale e culturale teramana: per 25 anni presidente della Fratellanza Artigiana, attivo per anni nell’Istituto abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea, fondatore della sezione teramana di Italia Nostra e dell’associazione Teramo Nostra. Oggi, tra l’altro, è presidente onorario dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani.
“Ho cercato di tenere sempre vivo il ricordo della Resistenza – dice – impegnandomi negli scritti, negli studi e nella trasmissione delle vicende storiche. Oggi è importante insegnare ai giovani a tenere in vita la memoria e, ad esempio, mi sono riavvicinato all’Anpi quando ho visto che si stava aprendo ai giovani”. Impegnato politicamente (“sono sempre rimasto di sinistra, legato a quella storia”, afferma con decisione), sullo scenario sociale dell’Italia moderna non ha alcun dubbio: “Non si può più parlare di antifascismo oggi. Se penso al fascismo sento solo la puzza di una carcassa morta, è impossibile parlarne come di una cosa viva o di un pericolo reale. Non vedo contro chi bisogna combattere oggi: se si dovessero riprendere le armi sono il primo a farlo, ma a chi dovrei sparare? Mi rifiuto di combattere contro qualcosa che è già morto da tempo. Oggi non c’è il nemico, i movimenti che si richiamano a quei valori sono solo delinquenti, quei valori non esistono più. Abbiamo fatto una guerra per eliminarli ed abbiamo vinto”.
Grazie comandante de’ Nigris, e buon 25 aprile.